venerdì 16 aprile 2010

L'orgasmo mancante

Ancora una volta ammetto di aver usato un titolo di 'richiamo' e non parlerò dei miei insuccessi sotto le lenzuola :)
Mi faccio un pò pena, come faceva pena 'l'autorevole' panorama che espone/va mercanzia femminile su ogni copertina.

L'orgasmo di cui intendo parlare è la metafora che un mio vecchio allenatore di calcio, usava con me, per invogliarmi a metterci anima e corpo in quello che facevo.
"Dov'è l'orgasmo?!" mi urlava, quando da ragazzino avevo classe e piedi buoni, ma non polmoni e grinta per correre sui prati verdi.
Toccavo la palla svogliatamente, spedendola però dove volevo, trotterellavo a metà campo, mentre i compagni sudavano e correvano per me.
Ho giocato a calcio fin da bambino, dai 'pulcini' di una scuola calcio del Napoli, ai tempi di Castellini, Krol, Musella...giocando il sabato pomeriggio nel glorioso San Paolo, fino ad un paio di apparizioni in prima squadra, nella seconda categoria lombarda.
Cambiavano le squadre, i campi da gioco, ma non la mia apatia, che mi ha visto lasciare il gioco del calcio, tanto amato, pur di fare a meno di allenamenti e corse.

Questo orgasmo mancante l'ho ritrovato negli anni seguenti, nei tanti ambienti di lavoro da me girati.
Solo che questa volta, mi ritrovavo io nella parte del mediano e tanti altri attorno a me, a 'giocare' senza impegno.
Senza un titolo di studio universitario, spesso lavorando con contratti a tempo determinato, interinali, stagionali, sostituzioni di maternità, stavo di fianco a colleghi che potevano parlare delle loro tesi di laurea, degli studi, dei curricula che garantivano ingegno e pretendevano diritti, posizioni e retribuzioni migliori.
In tanti anni ne ho viste molte, situazioni che mi hanno fatto ripensare, non poco, al valore attribuito agli studi, che si scontra con al realtà dei fatti e la reale capacità dimostrata.
Non sempre è andata così, devo essere sincero, ho imparato molto a fianco di ragazzi che in un secondo trovavano soluzioni, parole ed idee giuste per risolvere le problematiche.
Nel mio piccolo, da ormai dieci anni, mi occupo di questo.
Problem solving, nell'ambito dell'assistenza ai clienti delle aziende per cui ho lavorato (e lavoro).
Un lavoro umile, semplice per molti, snaturalizzato e ridotto ormai a numeri e statistiche, ma che, ostinatamente, continuo a credere ci voglia passione e volontà per poter svolgere bene.

In quelli che la gente chiama 'call centre' ci sono sempre più 'dottori' ed 'ingegneri' che quando vengono assunti si considerano di passaggio, sicuri che il pezzo di carta, gli farà guadagnare presto posizioni di maggior prestigio.
Questi fiori dell'intellighenzia, 'giocano' senza 'orgasmo'.
Il mio non è un discorso da aziendalista, sono l'ultima persona sulla faccia della terra a poterlo fare.
Quello che mi spinge a metterci impegno, durante le ore di lavoro, è solo la volontà di mettermi a disposizione di chi chiama o mi manda una email, perchè ha bisogno di aiuto.
Perchè è un cliente, come lo sono io, nella mia vita, 'Emo ergo sum' - compro dunque sono, figlio di questa società.

Da un laureato con i miei stessi anni di esperienza (eh già, perchè non tutti i dottori ed ingegneri, riescono a raggiungere le agognate posizioni di prestigio), mi aspetterei di poter imparare qualcosa.
Negli anni di lavoro all'estero, ho notato ancora di più il livellamento verso il basso nella qualità del lavoro.
Lungi da me difendere gli italiani (ci mancherebbe!) o parlar male di altri popoli (come prima: ci mancherebbe).
Ho notato però un atteggiamento ancora più remissivo nei colleghi stranieri, giovani 'dottori' appena ventenni, con pezzi di carta delle prestigiose università nord europee, dai quali non ho avuto il piacere di sentire mai un'idea, un punto di vista, un possibile miglioramento al 'modus operandi'.
Ad un italiano se dici di fare qualcosa in un tal modo, aspettati che la faccia, ma in ogni via alternativa, possibilmente diversa da quella che gli era stata richiesta.

Nel mio attuale lavoro, dobbiamo seguire procedure standard, riempire form, fare determinate domande per ogni inquiry ricevuta.
Nel team, internazionale, ognuno lo fa, seguendo diligentemente gli script.
I due italiani hanno, invece, il loro metodo personale.
Davvero personale, perchè ad un cliente che chiama, non riesco a fare le stesse domande, sempre uguali, come ad un interrogatorio della polizia.
Se ricevo una richiesta di informazioni, la elaboro, non seguo le procedure a scatola chiusa.

Chi è più intelligente di me, più titolato di me, non dovrebbe, ad esempio, chiamare un cliente, di venerdì, alle 12 circa, negli Emirati arabi uniti.
Come gli è stato, giustamente, fatto notare dalla stessa persona contattata, oltre ad essere il giorno di festa, il venerdì per gli arabi, stava chiamando anche durante il pranzo...

"Dov'è l'orgasmo?!"

Parola del giorno: Zlatá Muška - mosca d'oro

4 commenti:

  1. eh ci vuole passione in tutto Pedro.
    Se ben ricordi, te ne parlai in privato.

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  2. grazie.
    avevo paura di apparire troppo moralista e benpensante.
    come ho detto, l'impegno a lavoro non lo metto certo per fare del bene alla azienda.
    A fine mese, lo stipendio è sempre lo stesso ed ormai contando solo i numeri, la qualità, non viene neanche considerata.
    Un 'grazie' sincero detto da un cliente, invece, mi ripaga più delle promesse, mai mantenute, dai miei 'manager'.

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  3. @Pedro purtroppo sei nato in un mondo globalizzato, quando saresti stato perfetto per un attività che richiede il rapporto di fiducia con il cliente.
    il faccia a faccia.

    pazienza.

    bel post comunque.

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